Tra socialismo ed eugenetica
Da
decenni in Svezia è presente un dibattito ideologico assai acceso.
Pur essendo un paese efficiente e solidale capace di produrre
ricchezza e ridurre le disuguaglianze, questo paese in realtà
presenta un quadro assai complesso. Infatti negli ultimi 30 anni gli
svedesi hanno in parte abbandonato i dogmi dello statalismo di un
tempo, avviando un processo di liberalizzazione. Lo statalismo
svedese si concentra sui servizi alla persona. Essa ha costruito il
proprio sistema di welfare delineando un’esistenza programmata
dalla culla alla tomba, riducendo quindi gli spazi responsabilità
del singolo individuo. Questo dato però presenta dei risultati
piuttosto inquietanti, perché la Svezia ha sviluppato dei programmi
eugenetici che si avvicinano alle politiche naziste. Nei 40 anni che
vanno dal 1934 al 1975 la socialdemocrazia svedese ha promosso delle
leggi sulla sterilizzazione, l’aborto e la castrazione. Basti
ricordare che in un paese scarsamente abitato come la Svezia in quel
periodo furono praticati 63 mila interventi di sterilizzazione contro
i 300 mila della Germania nazista. In quei 40 anni infatti il paese
era tutto preso dal sogno genocratico di una popolazione perfetta per
migliorare la razza svedese. Questo faceva parte di una visione
collettivista che affidava allo stato l’incarico di prendersi cura
della società nel suo insieme. Ci si domanda se esiste un legame
profondo tra la socialdemocrazia assistenziale (ad esempio sussidi
per l’alimentazione o l’abbigliamento per bambini) e le politiche
eugenetiche. Questo legame si colloca su vari livelli: in primo luogo
il sistema politico socialdemocratico implica la dissoluzione dei
diritti individuali e l’eugenetica può imporsi solo se il corpo
sociale è privo di ogni capacità di resistenza; in secondo luogo la
socialdemocrazia implica un indebolimento della famiglia. Se gli
individui deboli vengono lasciati soli, facilmente finiscono per
subire abusi e violenza da parte dei titolari della forza pubblica.
In terzo luogo l’ideologia socialdemocratica definisce l’uomo a
partire da quei bisogni che lo stato si attribuisce il compito di
soddisfare. Ogni uomo deve avere una certa salute, una data
istruzione un certo reddito e un suo ruolo, se manca tutto questo, la
vita non è più dignitosa e non merita di essere vissuta. Quando lo
stato non è in grado di assicurare gli standard minimi di qualità
della vita, tanto vale allora inibire la nascita di tali soggetti.
Come rileva lo studioso italiano Luca Dotti nella Svezia degli anni
40 i ritardati ineducabili erano considerati un peso e dal momento in
cui non potevano essere produttivi non venivano nè curati né istruiti.
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